Qui troviamo una (auspicabilmente fedele) ricostruzione di un villaggio germano (germanische gehöft) dei Semnoni (siamo tra il 500 a.C. e il 500 d.C.).
L’impatto non lascia indifferenti.
Sono tre strutture a costituire la fattoria/villaggio e sono visitabili anche gli interni per una esperienza del tutto inaspettata.
Poco distante troviamo invece il lapidarium, una zona dove sono stati posizionati alcuni oggetti di varia natura provenienti dallo scomparso Museo dell’Arredo Urbano.
Qui sopra vedete una testa di Nettuno, a suo tempo recuperata da quello che restava del Belle-Alliance-brucke, e degli oggetti più misteriosi legati al recupero dell’acqua dai pozzi (qualcuno sa spiegarci cosa siano ?).
Più tradizionalmente affascinante questo bronzo di Emil Hundrieser intitolato “Friede” (pace), ma sono tante le cose da vedere in questi spazi esterni del museo, che noi vi consigliamo caldamente di visitare.
Un ultimo esempio lo proponiamo con questo imponente pilastro a forma di leone, proveniente dalla, ora non più esistente, Deutsches Kolonialhaus che si trova di fronte l’ingresso del museo.
perché qui ci sono talmente tante cose belle, che il museo si è allargato fin dove ha potuto, compresa la piazzetta antistante.
Consigliatissimo.
Abbiamo visitato in passato diversi musei dedicati a specifici quartieri o distretti di Berlino (ad esempio Villa Oppenheim, il museo dedicato a Charlottenburg, o il Köpenick Museum). Ci occupiamo ora di un altro museo di questo tipo, ma, nel suo genere, davvero spettacolare e una delle maggiori sorprese di questo ventiduesimo viaggio: il Museum Reinickendorf.
Posizionamoci geograficamente: siamo nel quartiere Hermsdorf, distretto di Reinickendorf, al limite settentrionale della città. Per arrivare qui abbiamo preso la S1 fino alla stazione Hermsdorf, e poi da lì abbiamo percorso a piedi poco più di un chilometro (in alternativa potete prendere la S1 fino alla stazione Wittenau, da lì prendere il 220 e scendere ad Almutstr., a meno di 100 metri dal museo).
Il Museum Reinickendorf è ospitato negli ampi spazi di quella che fu la scuola del quartiere. Tra le sue molte sale una è dedicata proprio a questa funzione che ebbe l’edificio. Ma l’ambizione del museo è quella di raccontare la storia di questo distretto, a partire dalla preistoria, fino al giorno d’oggi.
Troverete quindi qui uno stranissimo insieme di reperti, spazi ricostruiti con reperti, documenti, quadri e tantissimo altro, in un affastellamento che, nella sua parzialità e nella sua confusione, riesce miracolosamente a rendere l’idea di cosa fu e cosa sia questo territorio.
Quindi, riferendoci solo agli spazi chiusi del museo, come da foto sopra, troverete ricostruite varie botteghe artigiane, ma anche reperti, sempre provenienti da scavi effettuati da queste parti, risalenti all’età della pietra, del bronzo e del ferro (unitamente a informazioni su quelle epoche).
E, sempre passando di palla in frasca, troverete una stanza dedicata alla caccia in queste zone, ma anche un esempio di arredamento Biedermeier, tipico in certi anni nella case altoborghesi.
Ma si parla anche del ruolo del quartiere durante il nazismo (soprattutto la produzione di armi) e durante gli anni dell’occupazione (qui ci troviamo nella zona che venne controllata dalla Francia) ed uno spazio è stato dedicato alla conservazione dello studio/laboratorio di Wladimir Lindenberg, complessa figura di neurologo, psichiatra ma anche artista.
Parafrasando un noto slogan della RAI, potremmo dire “di tutto, di più”. Permetteteci però di puntare la nostra attenzione su una sala che si trova nel seminterrato, dedicata alla “cucina operaia” e alla “lavanderia storica” (con i primi esempi di lavatrice !).
Siamo nei magici anni ’20, l’elettricità non è ancora arrivata e nelle case operaie si vive facendo quello che si può. Questa splendida sala cerca di suggerire come andassero le cose, e solo lei meriterebbe il costo del biglietto (peraltro assente, anche questo museo è rigorosamente gratuito).
Ora spostiamoci all’esterno, perché questo museo non si limita ad occupare le sale della vecchia scuola, ma va ben oltre.
Risalente all’inizio del ‘900 questo è il più antico osservatorio tedesco, ha avuto momenti di grande prestigio, non a caso fu qui, il 2 giugno 1915, che Albert Einstein tenne la sua prima conferenza pubblica sulla teoria della relatività generale.
Attualmente il sito è gratuitamente visitabile (cliccate qui per i dettagli) ed ospita al piano terra una serie di sale dedicate alla storia dell’astronomia, con una gran quantità di oggetti utilizzati per l’osservazione delle stelle in tutte le epoche e in tutte le culture.
E’ anche presente un piccolo planetario (per l’accesso del quale è però necessario un biglietto di 7,50 euro), del tutto incomparabile rispetto a quello del quale vi parlammo a suo tempo (cliccate qua se non ricordate le nostre impressioni) e quindi non particolarmente consigliato (anzi…).
Ma l’attrazione principale di questo osservatorio è il cosiddetto Großer Refraktor (ilgrande rifrattore), un telescopio di oltre 20 metri considerato il più lungo al mondo nel suo genere.
Questo enorme cannone domina il tetto dell’osservatorio e, visto da vicino, fa decisamente la sua figura.
Speriamo, in un prossimo viaggio estivo, di poter godere del cielo visto attraverso le lenti di questo enorme telescopio (dovrebbe essere possibile in alcune notti…), nel frattempo ci limitiamo a consigliare caldamente questo sito agli appassionati di astronomia (e quindi dedichiamo questo post a Vincenzo).
L’ambizioso obiettivo di questi spazi è provare a raccontare (ed affrontare criticamente) le (purtroppo tante) migrazioni forzate avvenute in Europa nel XX e XXI secolo, tutte giustificate politicamente, etnicamente o religiosamente (o un mix di queste tre cose).
Diciamo subito che il lavoro di ristrutturazione del palazzo, il museo è stato aperto nel 2021, è davvero eccellente. Grandi spazi, nudo cemento a dominare, e una serie di sale estremamente funzionali, mentre l’esterno è stato riportato all’originale splendore.
Per quello che riguarda invece il contenuto, noi l’abbiamo molto apprezzato, anche perché, in questi anni di ripresa dei nazionalismi e di una visione in cui la dicotomia noi/loro viene sempre più esacerbata, mostrare gli orrori e la continua riproposizione di identiche tematiche nella storia europea può davvero aiutare a coglierne l’insensatezza e la drammaticità.
Perché poi, fondamentalmente, questo è un museo contro il nazionalismo, in tutte le sue declinazioni, spaziali e temporali, non però dal punto di vista di un’altra ideologia, ma piuttosto limitandosi a dare voce e spazio agli effetti concreti (e ripetuti più e più volte nel corso della storia) di queste forme di pensiero.
In particolare abbiamo anche apprezzato la narrazione delle conseguenze post-Seconda Guerra Mondiale sui tedeschi che abitavano fuori dalla Germania prima della guerra, tipico esempio di (drammatica) eterogenesi dei fini.
L’offerta è ampia e una visita merita un tempo adeguato (non escludiamo di tornarci con più calma) ma, sommariamente, diremmo che le varie sale (con mostre temporanee che si alternano in aggiunta a quelle permanenti) sortiscono l’effetto desiderato, avvolgendo il visitatore e trascinandolo all’interno di vari e diversi drammi privati e sociali, l’accostamento dei quali rafforza la possibilità di comprenderne la stucchevole e orribile ripetitività.
Abbiamo pure apprezzato come, in molti degli spazi del museo, il visitatore sia (bonariamente) costretto a piccole azioni per poter avere le risposte che cerca, rendendolo parte attiva nell’operazione di informazione (la foto sopra ne mostra un esempio, con cassetti chiusi che solo aprendoli rendono esplicito il loro contenuto, che può essere una foto, un video, un oggetto, uno scritto…).
Una parola particolare merita la Raum der Stille (la Stanza del silenzio), luogo deputato a una sorta di depurazione mentale dagli orrori visti nelle altre sale, dove il visitatore può stare quietamente seduto in riflessione.
Quindi, per noi, museo (il cui ingresso è rigorosamente gratuito) decisamente promosso, e da far conoscere ai più giovani.
Tra i musei che ci hanno conquistato, c’è il centralissimo Palais Populaire, il museo di proprietà della Deutsche Bank dedicato all’arte contemporanea.
L’abbiamo visitato nuovamente trovando una interessante mostra intitolata “The Struggle of Memory” (sopra una delle sale dedicate a questo progetto).
Un’altra sezione del museo era invece dedicata al lungometraggio/installazione di Isaac Julien “PLAYTIME“, molto interessante, ma che abbiamo visto solo per una decina di minuti perché la sala della proiezione prevedeva pochissimi posti a sedere e, francamente, vederlo tutto in piedi ci è parsa una scelta autolesionistica (non abbiamo più l’eta per certe cose…).
Ma la ragione principale che ci ha spinti qua era verificare se, come ci sembrava di aver capito, l’ingresso gratuito al museo non fosse più limitato al lunedì, ma allargato a tutti i giorni di apertura.
Questa cosa si è confermata vera e ci ha reso ancora più positivi verso questo progetto.
Presi dall’entusiasmo abbiamo così deciso di fare una merenda nel café del museo, dove abbiamo consumato una classica fettona di torta e un ancor più classico the verde, trovando il tutto molto piacevole.
Quindi, se siete in centro, cogliete l’occasione per una piccola immersione nell’arte contemporanea.
All’esterno, come sempre, una scultura temporaneamente offerta ai passanti, in questo caso “Tor” (della serie “Skins“) di Erwin Wurm.
Il Gedenkstätte Stille Helden si occupa di raccontare la storia di quelle persone che hanno provato, a volte riuscendoci, a volte no, ad aiutare gli ebrei perseguitati in Germania e nell’Europa occupata dai tedeschi (compresi alcuni episodi accaduti in Italia).
Detto che anche queste sale sono ad ingresso gratuito, valutate voi se dedicare un po’ del vostro tempo a questi due musei, peraltro gestiti e allestiti in maniera ottima.
Avevamo in sospeso, dal nostro undicesimo viaggio, una visita alla parte espositiva del Memoriale della Resistenza Tedesca. Siamo quindi tornati a Stauffenbergstraße (nome non casuale della strada dove si affaccia l’ingresso al memoriale), poco dietro la Neue Nationalgalerie.
Il Gedenkstätte Deutscher Widerstand occupa il secondo piano della palazzina alla quale si accede dal cortile d’ingresso che documentammo a suo tempo. Su questo piano troviamo il Centro commemorativo della resistenza tedesca, ovvero tutta una serie di sale con foto, informazioni, narrazioni e quant’altro, utili a documentare le attività anti-naziste svoltesi in Germania dall’ascesa di Hitler alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Particolarmente interessanti, anche perché avevamo solo una vaga idea della loro esistenza, i pannelli dedicati alla Rosa Bianca (Weiße Rose) e all’Orchestra Rossa (Rote Kapelle).
L’ingresso al centro commemorativo è gratuito, ma restano i dubbi su una struttura che si propone di raccontare qualcosa senza però ospitare reperti relativi all’oggetto della sua narrazione. Utilizzando di fatto solo materiali testuali e grafici, forse avrebbe più senso spostare la mostra in rete, disponibile per tutti in ogni momento e ad ogni latitudine, ma capiamo anche che dare corpo fisicità e matericità, a certi pezzi della storia serva anche a rendere più efficace la sua rappresentazione.
Durante il nostro dodicesimo viaggio, avevamo accennato, in questo post, ad una chiesa sconsacrata (relativamente) maltrattata durante i lavori per il passaggio della metropolitana sotto Unter den linden. Finalmente i lavori sono terminati e la chiesa, perfettamente restaurata, è tornata disponibile per essere visitata.
Signori ecco a voi la Friedrichswerdersche Kirche.
Siamo in pieno centro, dietro Bebelplatz, e la struttura che vedete è stata costruita dall’onnipresente (qui a Berlino) Karl Friedrich Schinkel intorno al 1830. Oggi è un museo gratuito dedicato alla scultura del XIX secolo.
Ennesimo museo nel quale il contenitore vale quanto, se non più, del contenuto, questa chiesa, non appena entrati, appare subito in tutta la sua bellezza e imponenza.
Interessante, e inusuale per chi è abituato alle chiese romane, la possibilità di salire su di una sorta di ballatoio che si sviluppa lungo tutto il perimetro della chiesa.
Su questo ballatoio si trovano informazioni sugli edifici progettati e costruiti da Schinkel a Berlino, ma si può anche godere di un punto di vista diverso sull’intera chiesa (vedi ultima foto di questo post).
Di fatto, per quanto riguarda le sculture, questo museo è una succursale della Alte Nationalgalerie, tra le opere presenti nel museo la più importante pare sia il Prinzessinnengruppe di Johann Gottfried Schadow, che sfortunatemente al momento della nostra visita era in restauro.
Se passeggiate per il centro, questa è una visita imperdibile (ma attenzione che all’ingresso, per ragioni di sicurezza, e per merito dei soliti imbecilli che vandalizzano opere d’arte ad minchiam, vi chiederanno di lasciare giacconi, borse e buste, rendendo la visita un tantino problematica).
Nel novembre 2020, durante la pandemia, in maniera improvvisa, seppure annunciata da tempo, ha chiuso il nostro amatissimo Aeroporto di Berlino-Tegel. Avremmo voluto salutarlo in maniera degna, per quanto di buono ci ha dato. Quando abbiamo saputo che era possibile visitare quello che ne resta, in attesa della enorme ristrutturazione che dovrà subire, abbiamo deciso di cogliere l’attimo e sfruttare l’occasione.
Andiamo con ordine.
Se andate su questo sito potete prenotare una visita guidata gratuita, nel giorno e nell’ora indicate vi dovrete poi recare nel treffpunkt (punto d’incontro) che coindice con il nuovo capolinea del bus 109.
Qui ci si è presentata la nostra guida, armata di elenco dei partecipanti che ci ha invitati a seguirla.
Ci hanno fornito di un apposito badge, di un giubbino catarifrangente, ci hanno dato alcune disposizioni su come comportarci (tipo di non allontanarci mai dalla guida) e finalmente ci siamo indirizzati verso l’ex-aeroporto.
Giornata freddissima e ventosa, siamo rimasti profondamente delusi dal fatto che la visita, più che raccontare la storia dell’aeroporto, è mirata a descrivere le meraviglie che verranno (questo spazio diventerà una cosa futuribile chiamata Urban Tech Republic) e, soprattutto, non prevede di visitare l’interno delle strutture vere e proprie che furono dell’aeroporto (sale per i check-in, gli imbarchi, i ristori, le attese e quant’altro).
Ci siamo quindi limitati a camminare sulle piste, sbirciare in alcuni hangar e, soprattutto, a prendere tanto freddo. Non consigliamo quindi di seguire il nostro esempio (anche se fa sempre uno strano effetto misurarsi con l’enormità delle piste, delle segnaletiche e di tutto ciò che costituisce un aeroporto).
Torniamo nuovamente nell’Humboldt Forum per l’ultima visita che gli abbiamo dedicato in questo viaggio. Tutto il secondo piano dell’edificio è dedicato al Museo etnologico.
Come per il Museo d’arte asiatica anche in questo caso la mostra è gratuita e si accede direttamente alle sale, senza bisogno di passare dalla biglietteria. Il museo è diviso in tre macrosezioni: Oceania, Africa e Americhe.
Diciamo subito che l’offerta è ricca, diverse sale sono spettacolari e che anche questo museo ha poco da invidiare a quelli più famosi di Berlino. In particolare la sezione dedicata all’Oceania è stupefacente per quantità e qualità dei reperti.
Della parte americana avevamo già accennato qualcosa nella precedente incarnazione di questa collezione (cliccate qua per i dettagli), qui possiamo solo confermare la qualità dei materiali di origine mesoamericana.
Consentiteci poi un particolare apprezzamento per la “Klänge der Welt. Erforschung des organisierten Klanges“, sala futuristica dedicata all’ascolto di musiche del mondo.
Insomma, un museo ricco al quale dedicare (almeno) una mattinata.
Per altre informazioni potete andare sui siti ufficiali (questo, questo o questo), noi ci limitiamo a suggerirlo con energia, anche perché nella nuova struttura le sale sono splendidamente organizzate.