Nello scorso viaggio, in questo post, avevamo raccontato, dal nostro punto di vista, i pregi (pochi) e i difetti (parecchi) del nuovo aeroporto di Berlino: il Flughafen Berlin Brandenburg.
Oltre un anno dopo speravamo di trovare superati almeno alcuni di questi problemi, invece ci siamo ritrovati in una situazione addirittura peggiore.
In particolare ci siamo ritrovati nel girone dantesco (e kafkiano) dei controlli di sicurezza, dove le spaventose file che ricordavamo sono state confermate, così come confermata è stata la gestione bislacca, irrazionale e imparziale delle stesse.
Ma il disastro nasce innanzitutto dall’incredibile gestione dei controlli: lenti, pignoli, effettuati da gente sgarbata e che sembra godere nel perdere tempo e allungare i tempi di imbarco. Se a Fiumicino per i controlli basta meno di un minuto a persona, qui ce ne vogliono almeno 10.
Prima esigono posizioni molto precise sotto lo scanner che controlla cosa si abbia addosso aggiungendo fantasiose esigenze (“tirati giù le maniche della felpa“, “metti ben larghe le braccia“, “svuotati completamente le tasche, anche dai fazzoletti” ecc.), poi, in ogni caso, ti passano uno scanner manuale addosso, poi ti controllano i bagagli o i giacconi con il cerca-esplosivi… insomma i tempi si dilatano a dismisura.
Ma il punto non è la complessità e articolazione dei controlli. Il punto è che se ogni controllo dura così tanto, allora devi dotarti di personale per i controlli proporzionato e adeguato alla massa di passeggeri che transitano per l’aeroporto, altrimenti il caos te lo sei cercato e l’hai fortemente voluto.
In ogni caso consigliamo a tutti di arrivare in aeroporto almeno 2 ore prima della partenza, altrimenti si rischia seriamente di perdere il volo.
Una volta lasciate le rive del Liepnitzsee abbiamo seguito il sentiero, di circa 3 chilometri, che ci porta nel centro di Wandlitz.
Qui abbiamo proseguito per un altro chilometro fino al Barnim Panorama.
Pensavamo fosse una struttura dedicata al Barnim Naturpark, magari con opuscoli per suggerirci altri percorsi al suo interno, invece è soprattutto un museo sull’agricoltura di questa zona, e, non avendo molto tempo prima del passaggio della RB27, abbiamo fatto dietro front e siamo tornati verso il centro.
Abbiamo però trovato il tempo, dopo tutti questi chilometri, di concederci una merenda. Un (per noi) classico the verde e una altrettanto classica torta di mele al quark.
Infine, ripercorrendo il percorso fatto all’andata, abbiamo preso il treno regionale RB27 e siamo tornati in città.
I circa otto chilometri del percorso che gira intorno al lago sono tutti facilmente percorribili e, per gran parte del sentiero, si resta vicinissimi alle rive del lago (salvo in alcuni punti dove le rive sono piuttosto scoscese e nella parte più a est dove c’è una zona protetta nella quale non si può transitare).
Al centro del lago c’è un’isola, la Großer Werder, un traghetto percorre il lago da due fermate (una a nord e una a sud) facendo tappa su quest’isola sulla quale ci dovrebbe essere un campeggio e un ristorante.
Non escludiamo di tornare qui e visitarla in un qualche futuro.
Nonostante la giornata nuvolosa (questo passava il convento), passeggiare su queste rive, nella pace della foresta e lontani dalla civiltà, è esperienza assai piacevole.
Va detto che, per essere un luogo relativamente remoto e isolato, abbiamo incontrato diverse persone che camminavano lungo il nostro stesso percorso, ma questo non ci ha certo rovinato la giornata.
🙂
Nei punti in cui il sentiero è più alto, la fatica dell’arrampicata è premiata da una vista particolarmente efficace. Ma fondamentalmente questa è una passeggiata, al netto della lunghezza, assolutamente alla portata di tutti.
Il lago si sviluppa in lunghezza da ovest verso est per circa 2,5 km. mentre in larghezza si limita ad un massimo di circa un chilometro (e in quel tratto c’è l’isola che lo divide in due).
E’ quindi con un po’ di rammarico che, arrivati alla punta ovest del lago, abbiamo abbandonato il sentiero del cerchio giallo per dirigerci nuovamente verso Wandlitz.
Questa escursione ci è stata suggerita dal sito ufficiale del Barnim Naturpark, ed è quella denominata Rundweg um den Liepnitzsee (giro intorno al Liepnitzsee) che trovate ben dettagliata (con tanto di cartina in pdf scaricabile) cliccando qua.
E’ abbastanza ovvio che, una volta trovato il lago in questione, percorrerne i sentieri lungo le sue rive sia abbastanza semplice. Meno banale è trovare la giusta strada che da Wandlitz porta al lago (e ritorno, abbiamo optato per un percorso che inizia da una fermata del treno e finisce in un altra fermata).
Per chi è un po’ esperto di sentieri c’è una comoda ed efficace soluzione, che evita il rischio di perdersi.
Già dietro la stazione di Wandlitzsee troviamo dei cartelli, come quelli della prima foto, che ci suggeriscono, per arrivare al lago, di seguire le segnaletiche caratterizzate dal simbolo di un cerchio azzurro in campo bianco.
Una volta usciti dal centro abitato, bisogna stare attenti alle indicazioni presenti sugli alberi (come nella seconda foto) e cercare di seguire il percorso giusto.
In questo modo, dopo circa 3 chilometri, ci siamo ritrovati sul lago, lì abbiamo modificato il percorso di riferimento e abbiamo seguito la segnaletica con un cerchio giallo su sfondo bianco che indica proprio il sentiero (rundweg) che gira intorno al lago.
Arrivati alla punta ovest del lago ci siamo affidati al percorso, caratterizzato da una striscia orizzontale azzurra su sfondo bianco, che ci ha portato fino alla stazione di Wandlitz.
Con questi piccoli suggerimenti si evitano errori, perdite di tempo e situazioni magari poco simpatiche (perdersi nella foresta è molto più semplice di quanto si creda).
Seconda escursione, in questo ventesimo viaggio, nel Naturpark Barnim (la prima è stata questa).
In questo primo post ci limiteremo ad introdurla specificando come arrivare nella zona di nostro interesse.
Abbiamo raggiunto, con la S2, la piccola stazione di Karow (come vedete nella foto, due soli binari per un’unica piattaforma), lì abbiamo atteso il regionale RB27 (al solito, per evitare attese lunghe, informatevi prima sugli orari dei treni regionali).
Come di consueto, anche questo regionale è risultato puntuale, tutt’altro che sovraffollato e molto confortevole.
Specifichiamo fin d’ora che tutta questa escursione si svolge nella zona C dei trasporti berlinesi, pertanto non è necessario fare biglietti particolari.
La presenza di monitor, come quello della foto sopra, semplifica la vita del turista, che sa benissimo dove scendere e quanto manca all’arrivo.
Dopo aver attraversato, per una ventina di minuti, una parte del Parco Naturale del Barnim arriviamo alla nostra destinazione: la stazione Wandlitzsee.
Siamo nella parte orientale della cittadina di Wandlitz, la fermata prende il nome dalla vicinanza alle sponde del Wandlitzer See, un lago che forse visiteremo con calma in futuro (anche se ci è sembrato che le sue sponde siano in gran parte appartenenti a privati).
Ma la nostra meta è un’altra, e la nostra escursione inizia proprio dalla stazione, scavalcando i binari e portandoci verso est, come vedremo nel prossimo post.
Tra i tanti cambiamenti cui abbiamo accennato prima, un posto d’onore spetta al nuovo aeroporto di Berlino: il Flughafen Berlin Brandenburg, intitolato a Willy Brandt.
Struttura dalla costruzione costosa, lenta e assai complicata (trovate tutti i dettagli nel link all’inizio del post), nutrivamo grosse aspettative sulla funzionalità di questo nuovo aeroporto.
Probabilmente eravamo abituati troppo bene, ma la delusione è stata grossa.
La prima cosa che abbiamo notato è stata l’enorme distanza, tutta percorsa a piedi, tra il punto in cui l’aereo ci ha fatto scendere e il punto di ritiro delle valigie.
D’altra parte, foto sopra, le indicazioni delle distanze da percorrere sono di loro già molto significative 😦
Probabilmente eravamo abituati troppo bene con il nostro amatissimo, e piccolo, Tegel, dove una volta scesi dall’aereo con pochi passi si raggiungeva la sala del ritiro bagagli che, di norma, arrivavano quasi immediatamente.
Di positivo segnaliamo la presenza nella sala ritiro bagagli (foto sopra) delle macchinette per fare i biglietti (o le tessere) per metro, bus e tram (sono quelle rosse sulla destra della sala, seminascoste da alcuni passeggeri).
Nell’attesa dell’arrivo della nostra valigiona, abbiamo così fatto le due tessere mensili che ci hanno accompagnato in questo viaggio, evitando di perdere altro tempo una volta arrivati nella stazione dei treni.
Almeno esteticamente questa nuova enorme struttura non è (sempre) un disastro, abbiamo apprezzato queste strane strutture rosse,
così come queste (forse) lampade/illuminazioni all’esterno dell’aeroporto.
Il vero disastro però l’abbiamo provato quando siamo partiti per Roma, scoprendo che, per passare la frontiera, con i relativi controlli anti-terrorismo, non solo c’erano file lunghe e lentissime (segno che i varchi fossero decisamente sottodimensionati),
ma, cosa che abbiamo trovato davvero fastidiosa e inconcepibile, queste file erano gestite in maniera arbitraria da alcuni addetti dell’aeroporto in maniera che, senza una ragione evidente, alcuni sfortunati (come noi) si sono fatti un’ora di fila, altri solo una decina di minuti (perché indirizzati su file molto più corte).
Una forma di palese ingiustizia che ci ha fatto molto innervosire (e che a Fiumicino, per dire, non ci è mai capitata).
Bocciato.
p.s. Tutte le informazioni sull’aeroporto le potete trovare sul suo sito ufficiale.
Tra le serie televisive che abbiamo amato ultimamente spicca la serie tedesca “Dark“, ambientata nel paesino immaginario di Winden. Nel costruire questo luogo i curatori della serie hanno utilizzato diverse location nei dintorni berlinesi.
Il ponte dove passa la ferrovia, luogo d’incontro dei ragazzi, è un pezzo della Friedhofbahn, l’avevamo incontrato parlando di Dreilinden.
Anche la chiesa di Noah è legata a questa ferrovia fantasma, si trova infatti proprio nel cimitero di Stahnsdorf che ne costituiva il capolinea.
Va detto che, quando la inquadrano, spesso questa chiesa viene spogliata, in post-produzione, di ciò che la circonda.
Altra location berlinese è la scuola di Winden, frequentata dai ragazzi e luogo di confronto della comunità.
Siamo nella punta sud-est di Westend, e questa è veramente una scuola.
La ricca presenza di giallo rende questo edificio facilmente riconoscibile.
Abbiamo infine il fondato sospetto, ma non ancora la certezza, che l’ospedale dove viene ricoverato Mikkel sia un ospedale abbandonato dalle parti di Wannsee.
Siamo a due passi dalla Haus der Wannsee-Konferenz, dove troviamo quello che rimane della Lungenklinik Heckeshorn, un grosso ospedale non più in funzione e che, come potete leggere qui, è disponibile per riprese di ambiente ospedaliero.
Probabilmente non abbiamo fotografato il lato corretto, magari in una prossima occasione cercheremo di darvi la prova provata della sua relazione con Winden, ma questo ospedale nascosto tra gli alberi, è comunque un luogo molto affascinante, per gli amanti del genere, che suggeriamo di visitare se siete a Wannsee.
E se decidete di andare a Winden, attenzione alle grotte.
🙂
Continuiamo il nostro girovagare all’interno del Villaggio Olimpico del 1936, concentrando la nostra attenzione sulla Hindenburghaus.
Al suo interno gli atleti potevano godere di varie forme di intrattenimento (proiezioni, balletti, concerti, cabaret, cinegiornali…) utilizzando, in particolare, una apposita grande sala.
Come abbiamo scritto nel post precedente, nel dopoguerra questi spazi furono utilizzati dai sovietici, e questo ha portato ad una curiosa commistione di simboli.
Chiaramente non ci stupiamo di immagini come quella che trovate sotto, sopravvissuta ai tentativi di cancellare ogni ricordo della presenza comunista in Germania.
Lascia più stupiti il fatto che in questi spazi sia ancora presente questo bassorilievo di Walther von Ruckteschell, con sopra scritto “Möge die Wehrmacht ihren Weg immer kraftvoll und in Ehren gehen als Bürge einer starken deutschen Zukunft” (“Possa la Wehrmacht essere sempre vigorosamente e onorabilmente garante di un forte futuro tedesco“).
La cosa interessante, e un po’ ironica, è che, in un momento in cui tutti i simboli del nazismo venivano in gran parte distrutti o cancellati, siano stati proprio i comunisti sovietici, seppur involontariamente, a preservare quest’opera, ricoprendola con materiali poi scomparsi dopo l’abbandono del villaggio.
E’ come se qui si respirasse una stranissima doppia aria, di due epoche diverse e di due ideologie opposte e avversarie, misteriosamente sovrapposte lungo queste stanze e queste sale.
In conclusione, riprendendo il discorso che chiudeva la prima parte, il nostro invito è, nel caso siate interessati a visitare questo luogo, di sbrigarvi. Contattate gli organizzatori (cliccate qua per avere tutte le informazioni) e non perdete tempo.
Perché quel poco che oggi resiste, rischia di scomparire definitivamente o di non essere più accedibile dai comuni mortali.
E sarebbe un peccato.
Dedicheremo alle Olimpiadi del 1936 anche i prossimi post, perché a distanza di oltre 80 anni a Berlino resta ancora molto di questa controversa avventura.
Vi ricordate il Villaggio Olimpico del 1936 ? C’eravamo stati durante il nostro quattordicesimo viaggio, senza riuscire ad entrare (cliccate qua per rileggere cosa ci successe).
Ma noi siamo gente ostinata, e, con una certa difficoltà, ci siamo armati di pazienza e gentilezza, riuscendo a soddisfare questo nostro desiderio.
Abbiamo lungamente insistito, tramite posta elettronica, con i gestori di questo luogo, chiedendo di essere aggiunti a un qualche tour prenotato da terzi, e, dopo alcuni buchi nell’acqua nei nostri viaggi precedenti, finalmente le congiunzioni astrali hanno permesso che venissimo uniti ad una famiglia francese (la quale, inconsapevolmente, ha anche anticipato i soldi per nostro conto, costo del biglietto che abbiamo saldato cash, all’inizio del tour, il 25 agosto). Ringraziamo Susanne, colei che ci ha dato retta e sopportato nella nostra corrispondenza elettronica, e Jan, la preziosa guida che ci ha illustrato vita, morte e varie resurrezioni di questo sito.
Siamo quindi tornati ad Elstal, per andare alla scoperta di quello che fu il primo villaggio olimpico moderno della storia. Esattamente come le Olimpiadi del 1936 fecero fare uno scatto in avanti all’idea stessa di Olimpiade, in una maniera dalla quale non si tornò mai più indietro, anche questo villaggio aggiornava profondamente il senso e il modo in cui gli atleti partecipavano ai Giochi Olimpici.
Tra gli aspetti innovativi di questo Villaggio Olimpico, c’era la possibilità per gli atleti di allenarsi in maniera adeguata e professionale e, fortunatamente, restano ancora molte tracce delle infrastrutture costruite a questo scopo. Nella foto sopra vedete una parte di un grande campo per l’atletica leggera, in quella sotto una imponente piscina.
Quando questo complesso fu progettato, l’idea fu quella di realizzare in primis una struttura all’avanguardia per gli atleti (che, nelle intenzioni del Reich, dovevano rimanere impressionati dalle comodità, dalla tecnologia e da tutti gli aspetti caratterizzanti questo villaggio), ma terminati i giochi, tutto quanto costruito doveva facilmente convertirsi in una caserma per addestrare i soldati (cosa che puntualmente avvenne e di cui si trova traccia facilmente scavando nei dintorni).
C’era anche, e c’è ancora, una grossa palestra dove si potevano allenare svariate tipologie di atleti, un campo di calcio e un po’ tutto quello che poteva essere utile ai partecipanti dei giochi.
Naturalmente c’erano poi le casette dove alloggiavano gli atleti, oggi quasi tutte piuttosto rovinate (molte furono distrutte durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale).
Solo alcune sono state restaurate, tra queste, ovviamente non a caso, quella che ospitò Jesse Owens.
Il problema principale di questo sito, che a nostro parere ha un importante valore storico, è che dopo essersi trasformato in un campo di addestramento, dopo aver subito i danni della guerra, dopo essersi convertito in cittadella per l’esercito sovietico, dopo essere stato abbandonato per alcuni anni (forse il periodo in cui ha subito i maggiori danni…), è ora in mani private che, come sempre in questi anni berlinesi, stanno procedendo a riconvertirlo in spazio residenziale.
E se è vero che non possono demolire molte delle strutture che vi abbiamo mostrato, è anche vero che non hanno l’obbligo di curarsene né, tanto meno, quello di valorizzarle rendendole visitabili e fruibili dagli interessati.
Nella nostra visita ci siamo scontrati con un sacco di scavi ad opera dell’attuale proprietario di questa zona la DKB stiftung (fondazione DKB) che fa capo a Deutsche Kreditbank, che, tra le altre cose, sta completamente ricostruendo la Speisehaus der Nationen, l’edificio polifunzionale che accoglieva gli atleti al loro arrivo e dove, tra l’altro, si mangiava. Vedremo in futuro come realizzeranno questa opera (speriamo bene…).
Nel prossimo post punteremo l’attenzione su un particolare edificio all’interno di questo Villaggio Olimpico.
A dispetto del nome, questo piccolo parco ci interessava per il giardino giapponese che contiene più che per i bonsai (che pure produce).
Crediamo che per questo gioiellino di cura e attenzione le foto parlino meglio di qualunque parola, per cui vi lasciamo alla visione, senza particolari commenti, di quanto abbiamo visto, attraversato e goduto (in una meravigliosa giornata estiva).
E per non badare a spese aggiungiamo pure un breve video.