Si chiama Leise-Park ed è un volkspark di recente creazione (nasce nel 2012), sorto dove prima c’era un cimitero.
Come avevamo già raccontato per il Friedhofspark Pappelallee, qui convivono i bambini, con i loro spazi per giocare, e le lapidi, eredità della precedente destinazione d’uso.
Evidentemente questo tipo di commistione qui non suona particolarmente blasfema o irriguardosa.
Notate che, nella scelta del nome, che sta per parco tranquillo, hanno pensato di ricordare agli avventori le origini del parco e la presenza di resti che vorrebbero riposare in pace.
Abbiamo come l’impressione che questo tipo di situazione sia figlia dell’etica protestante e del suo diverso rapporto con la morte rispetto a quella cattolica.
Ma probabilmente è solo un’impressione.
Dovete sapere che lungo la TV-Asahi-Kirschblütenallee, oltre ai ciliegi, ci sono anche una serie di strutture dedicate all’esercizio fisico.
Noi, che siamo notoriamente appassionati del genere, non abbiamo resistito a provarne alcuni.
Crediamo che i video parlino da soli e non necessitino di ulteriori commenti.
Nel post precedente abbiamo documentato la nostra visita alla TV-Asahi-Kirschblütenallee del 3 maggio.
Siamo tornati lungo questo viale cinque giorni dopo, l’8 maggio e, come noterete dalle foto che corredano questo post, tutte scattate durante questa seconda visita, qualcosa è cambiato.
Sugli alberi i fiori sono sensibilmente diminuiti e ora appaiono molto meno rosa rispetto alla prima visita.
In compenso a terra camminiamo sopra un vero e proprio tappeto di petali rosa.
Desideravamo replicare l’esperienza della nevicata rosa ma, pur effettuando due distinte visite a questo sito nell’arco di meno di una settimana, per la prima era troppo presto e la seconda è avvenuta troppo tardi.
😦
Scriviamo questo solo per sottolineare come per l’hanami cogliere l’attimo sia importante e non banale, fermo restando che entrambe le nostre passeggiate sono state ampiamente soddisfacenti.
Forse foto come questa che trovate sotto, rendono l’idea di quanto sia stata piacevole questa situazione.
😉
In questa occasione abbiamo percorso solo la metà del viale con i ciliegi, nel farlo abbiamo incrociato alcune piccole strade, come da foto sotto, dove sono comunque arrivate grandi quantità di petali.
Per chi volesse usare il bus 184 segnaliamo che, seppure numerati allo stesso modo, ne esistono di due tipi, che effettuano due percorsi diversi, e solo uno dei due passa per Schwelmer Straße (quello che arriva a Teltow).
Fate attenzione altrimenti, come è capitato a noi, rischiate di ritrovarvi in una anonima piazza di Berlino sud.
Anche qui abbiamo una targa commemorativa di questa iniziativa.
“nessuno è straniero qui, sotto i rami dei ciliegi in fiore“
L’idea è quella di visitare altri posti come questo (ce ne sono alcuni altri qui a Berlino), e, naturalmente, tornare qui quando saremo nella stagione giusta.
Qualcuno di voi ricorderà, forse, la (per noi) splendida esperienza di un hanami berlinese, dalle parti del memoriale di Bornholmer Straße (ne parlammo qua).
Dovete sapere che c’è un’altra striscia della morte del fu muro di Berlino che è stata riumanizzata attraverso la creazione di un lungo viale di ciliegi, e si trova nel quartiere meridionale Lichterfelde.
Per arrivarci la cosa più comoda è arrivare alla stazione della S-BahnLichterfelde Süd, che dista circa 500 metri dal viale, in alternativa avete il bus 184, fermata Schwelmer Straße, che vi lascia proprio all’inizio della passeggiata.
Quindi, ricapitolando, siamo esattamente dove c’era il muro e la sua zona vietatissima a tutti e pericolosissima da attraversare, e, proprio qui, sono stati piantati i bei ciliegi che vedete, trasformando una zona di morte in una zona di vita e bellezza (e che bellezza !).
Ora il vialone si chiama TV-Asahi-Kirschblütenallee, dal nome dell’emittente giapponese che ha raccolto i fondi per gli oltre 1000 ciliegi piantati qui (è il viale di questo tipo più lungo presente a Berlino).
Tutte le foto che vedete in questo post, sono state scattate il 3 maggio e, come certo noterete, i ciliegi sono pienissimi di fiori non ancora caduti (a terra infatti ci sono pochissimi petali). L’effetto nevicata rosa che vi raccontammo a suo tempo non si era ancora verificato.
Sottolineiamo la cosa perché abbiamo deciso di ritornare in questo meraviglioso sito 5 giorni dopo e, come vedrete nel prossimo post, molte cose saranno nel frattempo cambiate.
Per chi fosse interessato a questo vialone, dove nel momento perfetto della fioritura si fa anche una festa, segnaliamo il sito ufficiale ricco di informazioni e foto.
Eravamo stati già qui durante il nostro diciottesimo viaggio, e, fondamentalmente, confermiamo quanto scritto allora (potete leggerlo cliccando qua). Specifichiamo che la cartina che ci guida suggerisce di percorrere il suo lato est, ma noi ci sentiamo di consigliarvi di percorrere le sue zone più centrali, decisamente più interessanti.
Da notare come, all’interno di questo parco, ma anche in altre zone percorse da noi in questa passeggiata, quando la natura è abbastanza selvaggia da non rendere banale trovare la giusta strada, o, più in generale, negli incroci che potrebbero mettere in difficoltà il percorrente, vengono in aiuto delle indicazioni tipiche dei sentieri di montagna (e non solo, ne parlammo qua). Come potete vedere nella foto sopra, si tratta di un rettangolo a strisce bianche e blu con chiaramente indicato il numero 3, che caratterizza il percorso che stiamo seguendo.
Una volta usciti dal parco, resici conto che si era fatta ‘na certa, abbiamo deciso di interrompere la passeggiata e tornare in centro utilizzando la vicina fermata della metropolitana Kurt-Schumacher-platz. Qualche giorno dopo siamo tornati nel punto dove ci eravamo fermati e abbiamo ripreso la nostra passeggiata lungo il percorso denominato Heiligenseer Weg.
Concludiamo il resoconto di questo nostro ritorno nell’Isola dei pavoni (qui e qui le prime due parti).
Non possiamo tacere della imponente Kavaliershaus, edificio della storia singolarissima.
Tutto inizia nella lontana Danzica, dove esisteva, ma era in rovina e rischiava la demolizione, la Schlieffhaus (casa della famiglia Schlieff). Federico Guglielmo III la fece smontare, portare qui (non senza fatica, parliamo di quasi 4 tonnellate di materiale e siamo negli anni ’20 del 1800) e fece costruire dal solitoKarl Friedrich Schinkel un nuovo edificio la cui facciata utilizzava gran parte della facciata originale.
Ma per non limitarci alle costruzioni, ricordiamo come qui si godano di ottimi panorami (nella foto sopra anche delle pecore al pascolo, l’isola non è solo il museo di se stessa, ma ancora vi si praticano attività, diciamo così, tradizionali).
Ricordiamo come ci siano vari punti in cui sedersi e godere del sole (se, come è successo a noi, capita una giornata di cielo sereno).
E come ci sia tanto altro da vedere, di cui magari parleremo la prossima volta che ci regaleremo una giornata qui. Perché qui di turisti non tedeschi non sembrano essercene molti, eppure il luogo è un piccolo incanto.
Forse l’unico appunto da fare riguarda il castello, lo Schloss Pfaueninsel, forse l’edificio più importante, che, al solito da queste parti, è in restauro e appare completamente impacchettato (neanche fosse una installazione di Christo e Jeanne-Claude) e del quale abbiamo quindi ulteriormente rinviato la visita degli interni.
Ma, a parte questo dettaglio, questo resta uno dei luoghi berlinesi che amiamo di più e che consigliamo.
Continuiamo a mostrarvi qualche dettaglio dell’Isola dei Pavoni.
Tra gli edifici che colpiscono l’attenzione dei passanti abbiamo il cosiddetto Beelitzer Jagdschirm (letteralmente “ombrello da caccia di Beelitz“).
Tutto ricoperto di corteccia, consiste in un capanno per la caccia affacciato sul fiume, dal quale, ben nascosti, gli aristocratici potevano cacciare alle anatre, o uccelli acquatici simili, che passassero nelle vicinanze (ognuno si diverte come crede, anche se a volte sembrano scelte non solo discutibili, ma anche abbastanza stupide).
Ma l’isola aveva anche costruzioni meno sfarzose e meno particolari, come le scuderie per i cavalli, poste nella sua punta nord.
E tra una curiosità e l’altra, naturalmente non mancano i pavoni.
🙂
Chiudiamo questa seconda parte con un omaggio anche alla parte vegetale dell’isola, ricca di aiuole, alberi di assoluto fascino, come la quercia qua sotto, e in cui anche la struttura della vegetazione (alberi, siepi, prato, accenni di foresta…) segue una sua logica con l’obiettivo di rendere l’esperienza del visitatore sempre positiva.
Nel prossimo post concluderemo la cronaca di questo primo maggio davvero alternativo.
Nel 2015 eravamo stati, con nostro grande, e in parte inaspettato, piacere, nella Pfaueninsel, in italiano L’isola dei pavoni. Finalmente, dopo 8 anni, si sono create le condizioni per tornarci e, sappiatelo subito, siamo rimasti ancora pienamente soddisfatti.
Prima di entrare nei dettagli, segnaliamo la principale differenza rispetto alla scorsa visita (i cui dettagli potete recuperare qui e qui).
Mentre i biglietti per l’ingresso prima si facevano sul traghetto che porta sull’isola, attualmente c’è una piccola macchinetta, situata nei pressi dell’imbarco, che emette i biglietti, ma accetta solo carte di credito.
Per il resto questa deliziosa isoletta conferma il suo status di piccolo gioiellino in cui ogni sentiero ed ogni costruzione è stata pensata per regalare momenti piacevoli ai visitatori, scorci deliziosi, costruzioni belle ed ardite.
Quello che vedete sopra, ad esempio, è il Meierei, il caseificio dell’isola, un luogo dove davvero si facevano formaggi con il latte degli animali qui presenti (alle sue spalle c’erano le stalle).
Ma se i bravi turisti, come quelli fotografati sopra, stanno attenti a quello che li circonda, possono notare anche piccoli oggetti singolari, come la pietra in ricordo di Johannes Kunckel.
Kunckel fu uno strano personaggio, vetraio ma soprattutto alchimista di tutto rispetto al quale il grande elettore, intorno al 1685, affidò l’isola dandogli la possibilità di fare qui le sue ricerche misteriose (ma anche di realizzare vetri particolarmente pregiati, in particolare di colore rosso, come indicato nella pietra “rubinglas“).
Perchè anche in un’isola così piccola sono passate storie strane e interessanti.
Dedicheremo questi primi post al quartiere dove risiediamo abitualmente: Charlottenburg.
Tra i luoghi di questo quartiere dove amiamo tornare spesso c’è lo Schloss Charlottenburg. Questa volta ci siamo concentrati sul suo parco, lo Schlossgarten Charlottenburg, che nelle precedenti visite abbiamo visitato solo superficialmente.
Come scrivemmo in passato (qua) per arrivare al parco bisogna girare intorno alle ali del castello, non esistono ponti o passaggi alternativi, e questa cosa è, relativamente, scomoda, ma una volta arrivati lo si può godere insieme a molti altri berlinesi che qui passeggiano o fanno jogging.
All’interno del parco, oltre agli alberi e al verde, spicca la Luiseninsel, piccolissima isoletta circondata dai canali.
L’isola è dedicata alla regina Luisa di Meclemburgo e ospita un suo busto di bronzo.
Sull’altro lato dell’isoletta è invece presente un Cupido che tende l’arco, basato su un modello antico di Lisippo, risalente all’Ottocento. Interessante notare come il modello per questa statua provenga dai romani Musei Capitolini, l’Italiensehnsucht è sempre dietro la porta.
Negli anni questo parco è sempre stato pensato e ripensato cercando di donargli bellezza e armonia, e queste statue (ce ne sono altre oltre quelle mostrate), questi viali, questi alberi, stanno lì a dimostrarlo.
Ma c’è un altro luogo in questo parco di cui vogliamo parlarvi.
E sarà oggetto del prossimo post.
La zona più occidentale del Botanischer Volkspark è chiamata parkwald, la foresta del parco.
In effetti è una zona più selvaggia, rispetto al resto dell’orto botanico, nella quale ci si trova esattamente dentro una tipica foresta centro-europea.
E come in tutte le foreste di questo tipo, si incontrano anche corsi d’acqua stagnante come questo zingerteiche.
Siamo in una delle punte più meridionali del Naturpark Barnim, il grande parco a nord di Berlino di cui vi abbiamo parlato qui e che stiamo piano piano visitando.
In questa zona dell’orto botanico spicca la presenza del Geologische Wand, il muro geologico.
Si tratta di una struttura lunga oltre 30 metri, e alta fino a 2 metri e mezzo, creata alla fine dell’Ottocento con l’intenzione di mostrare i vari strati della crosta terrestre nell’Europa centrale attraverso 123 diversi tipi di roccia.
Le pietre sono numerate per facilitarne il riconoscimento ma, stranamente, non abbiamo trovato in loco una tabella che aiutasse a distinguerle (magari è colpa nostra che non l’abbiamo notata…).
Terminiamo qui la visita a questo parco dalla doppia anima, al quale si può tranquillamente dedicare una mattinata soleggiata come quella, una delle poche, che ci ha accolto in questo nostro ventesimo viaggio.